
Questo articolo mi è stato ispirato dai vissuti legati al mondo della scuola di molti insegnanti, esso tuttavia può essere applicato a molti altri ambienti di lavoro.
Quando si parla di stress la prima cosa da fare è
suddivisibile in tre aspetti.
1. Capire cos’è lo stress e come funziona.
2. Individuare le fonti del proprio stress.
3. Auto-valutare il proprio modo di reagire allo stress.
Lo stress è l’effetto di una condizione di richieste ambientali che
ci viene rivolta in modo protratto ed intenso. Non sempre è
negativo anzi può farci sentire bene… almeno all’ inizio. Poi subentra
la fase negativa con sintomi psicologici (ansia e rabbia), comportamentali (
per es. inefficace gestione della classe, assenteismo ) e fisiologici (
malesseri fisici di varia natura ). Capire da dove arrivano queste richieste
eccessive e capire i meccanismi che le mantengono può essere il
punto di partenza per gestirle.
Osservare noi stessi ci permette di vedere come ci muoviamo all’interno di
questa condizione, che pensieri ed emozioni ci pervadono perché isolandoli
potremo agire efficacemente senza rischiare di perdere il nostro
equilibrio.
Le emozioni negative.
Se pensiamo alle nostre emozioni crediamo esse siano conseguenza diretta
degli eventi. Di fatto… c’è tutto un mondo in mezzo: i nostri pensieri.
Spesso le nostre emozioni diventano negative se sono alimentate da un fiume di
pensieri catastrofizzanti, svalutanti o simili e se ci sentiamo vittime di
processi fuori dal nostro controllo.
Individuare le emozioni negative ci permette poi di focalizzare i pensieri
retrostanti. Fatto questo sarà più facile lavorare sulla correzione di tali
pensieri e porsi come meta finale uno o più stati d’animo positivi.
Ipotizziamo che la nostra meta possa essere di stare bene in
presenza di una persona che ci svaluta sempre.
Dovremmo procedere in questo modo:
1. Individuiamo i pensieri irrazionali e
ne isoliamo almeno uno per esempio: “non sopporto di essere trattato
così “.
2. Mettiamo in discussione questo pensiero: “Questo
pensiero mi aiuta a stare meglio? “
“Mi aiuta a provare lo stato d’animo che desidero raggiungere?”
“Questo pensiero si basa su fatti o su supposizioni?”
3. Individuiamo le risposte a queste domande e ad altre
simili e proviamo a trasformare questi pensieri negativi in pensieri che ci
aiutano a stare meglio:
“Quali sono le motivazioni di questa disistima?”
“Posso agire senza farmi influenzare dagli atteggiamenti esterni?
“Mi piacerebbe essere approvato da tutti, ma é davvero possibile o
indispensabile?
All’inizio costa un po’ di impegno, ma con l’allenamento riusciremo a cambiare
gli atteggiamenti mentali che abbiamo verso noi stessi.
Autostima
Pensieri negativi, aspettative troppo alte o troppo basse,
bisogno di approvazione esterna ma nel contempo difficoltà ad accettare i
complimenti… sono tutti indizi di scarsa autostima
Anche l’incapacità di influenzare gli altri e/o la scarsa tolleranza
delle frustrazioni lo sono, vediamo perciò come il concetto di sé
diventi cruciale nella gestione dello stress.
Per migliorare la gestione dello stress allora diventa necessario migliorare la
propria autostima.
Diventa importante cominciare ad interrogarsi su quella che
è la nostra immagine di sé ed il senso del nostro valore personale. Se fare
questo esame ci pone di fronte a un concetto di sé mortificante, può essere
utile, direi fondamentale per un buon equilibrio interiore, porsi degli obiettivi che vadano nella direzione del riconoscimento
del proprio valore, lavorando su di sé e correggendo pensieri e atteggiamenti
autodenigratori.
Considerando il valore di sé come un cantiere sempre aperto, riusciremo a
superare le fragilità poste in essere fino a questo momento e a motivarsi nel
contempo rispetto ad un continuo lavoro di crescita e arricchimento.
Programmare il nostro
tempo.
Non c’è insegnante senza un’agenda.
Lei ci permette di programmare le nostre giornate e di ricordarci i nostri
appuntamenti. Scordarla a casa equivale ad uscire… nudi.
Vi propongo quindi una valutazione di come gestiamo il nostro tempo, se
programmiamo in modo efficace, se rispettiamo i programmi o ci infiliamo degli
extra che ci fanno perdere la rotta, o al contrario tendiamo a procrastinare?
Analizzare come funzioniamo può farci capire cosa non funziona e per
quali ragioni. Ci permette di renderci conto di
quando sia necessario fare una
cosa in meno, quando ritagliarsi del tempo per formarsi e per dedicarsi a se
stessi.
Empatia ed assertività.
La pratica dell’empatia. Che relazione c’è tra empatia e stress?
Ascoltare le proprie emozioni ci permette di capire cosa stiamo provando in
classe e perché, ma ci aiuta anche ad entrare in risonanza con le emozioni
altrui.
Saper leggere il clima emotivo della classe o del corpo insegnante è un buon
punto di partenza per creare alleanze e superare spirali relazionali poco
produttive.
Pensiamo alle attività
di programmazione. A quanti insegnanti piacciono le riunioni e i gruppi di
lavoro?
Molto pochi e questo perché le riunioni sono spesso dispersive ed
inconcludenti. Spesso pensiamo di non poter far nulla per migliorare le cose e
questo perché magari pensiamo al nostro ruolo (minoritario) nell’organizzazione
scolastica.
In realtà possiamo influire positivamente sull’andamento della stessa assumendo
un atteggiamento attivo. Adottare un profilo propositivo e praticare una
comunicazione assertiva ci permette di avere un’influenza positiva sul
contesto. Se poi da un punto di vista strettamente operativo, riusciamo a crearci una scaletta, le
cose andranno molto meglio.
Rapporti di lavoro difficili.
Spesso nel luogo di lavoro c’è chi quotidianamente ha che fare con persone molto complesse con cui è difficile rapportarsi per la tendenza a prevaricare, criticare o isolare quando non ottengono ciò che vogliono, capaci di portare rancore a tempo indeterminato.
Oppure c’è chi ha a che fare con interlocutori difficili
ossia persone che manipolano la conversazione a proprio vantaggio.
Proviamo a vedere quali reazioni ci suscitano. In alcuni prevale la collera in
altri Il senso di frustrazione
Cosa si può fare?
Nel primo caso è utile pensare che si tratta di persone con cui molto
difficilmente si arriva ad un cambiamento di atteggiamento, quindi è importante
tenere a mente che questo è una loro caratteristica o più semplicemente un loro
aspetto disfunzionale, che non ha nulla a che fare con noi.
Nel secondo, quando ci troviamo ad avere a che fare con persone difficili può capitare
di avere la sensazione che ci stiano provocando intenzionalmente .
Che fare? Possiamo adottare un vero e proprio piano di gestione della rabbia.
1 prendiamo le distanze dalla situazione come se fossimo osservatori esterni.
2 pensiamo che molto probabilmente la persona che abbiamo di fronte non conosce
un modo alternativo per rapportarsi a noi in quel momento.
3 Visualizziamo mentalmente le parole “calma” e “lucidità”
4 Facciamo alcuni respiri profondi e lenti immaginando di portare dentro di noi
la calma ogni volta che inspiriamo e di far uscire da noi la rabbia ogni volta
che espiriamo.
5 Ripetiamo questi passaggi fintanto che non ci sentiremo più calmi.
Quando ci rapportiamo con persone difficili un vissuto molto frequente è quello
della frustrazione. Essa sta alla base della collera di cui abbiamo appena
parlato .
La frustrazione parla molto di come siamo fatti noi.
QUANTO CI PERDONIAMO?
La frustrazione ci rivela il nostro grado di tolleranza delle critiche esterne
e in questo caso una bassa tolleranza dipende dal fatto che le critiche esterne
entrano in risonanza con il nostro giudice interno
AMICO O NEMICO?
Questo giudice interno non è del tutto negativo, può diventare un nostro
alleato. Se ci abituiamo ad ascoltarlo per capire che ruolo abbiamo noi
nell’interazione con queste persone, potremmo imparare a ridurre al minimo le
provocazioni (intenzionali o meno) rivolte alla altro e a modificare alcuni
nostri atteggiamenti o comportamenti che potrebbero apparire come sfidanti.
Questo ci aiuterà a tollerare meglio le nostre imperfezioni, quelle altrui e
soprattutto, a gestire meglio le critiche provenienti dall’esterno.
Riflettiamo insieme su cosa invece possiamo FARE per rendere positive le interazioni con gli altri.
La comunicazione assertiva può aiutarci.
1. La prima cosa che ogni persona ama sentirsi dire è il proprio nome, per cui
è molto importante utilizzarlo quando ci si rivolge ad una persona.
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2. Un altro aspetto che aiuta ad avvicinare emotivamente gli altri è il
sorriso, quindi ricordiamoci di sorridere.
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3. Ciascuno di noi quando parla vuole essere ascoltato fino in fondo senza
interruzioni, quindi quando stiamo parlando con qualcuno è bene porre
attenzione a quanto ci dice e mostrare interesse.
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4. Naturalmente il prerequisito di tutto ciò è una volontà autentica di
ascoltare e di porsi in relazione con l’altro, perché tutti questi accorgimenti
privi di autenticità assumeranno un sapore falsato.
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5. Quante volte in una conversazione menzioniamo le nostre emozioni?
Se ci facciamo caso questo succede molto di rado, anzi se ci troviamo di fronte
ad una persona che esprime le proprie emozioni siamo quasi sorpresi.
Felicemente sorpresi direi perché comunicare ciò che stiamo provando è
estremamente utile per chiarire le idee al nostro interlocutore su quello che
stiamo dicendo o chiedendo.
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Potremmo provare a fare un piccolo esperimento:
Cerchiamo di osservare nell’arco della giornata come comunichiamo e di provare
a fare delle richieste inserendo le nostre emozioni
Un esempio: non mi stai comunicando le consegne (comportamento di x), così non
riesco a fare bene il mio lavoro (effetto sul comportamento di y), la
cosa mi fa stare male (emozioni). Mi piacerebbe che tu lo facessi (richiesta).
6. Per rendere efficace la nostra comunicazione dobbiamo andare oltre il
semplice sentire e sintonizzarci completamente su quanto comunica l’altro.
___ Ci sono persone che hanno talmente tanto da dire o vogliono
semplicemente dominare la comunicazione che fanno domande ma interrompono
l’altro proprio nel bel mezzo della risposta, oppure con il linguaggio del
corpo gli mettono “fretta” Frustrante vero? Fa sentire poco considerati. E
se lo facessimo anche noi senza accorgercene?
Come possiamo fare?
Possiamo provare a fermarci. Ascoltare l’altro fino alla fine.
Frenare l’impulso ad intervenire.
Ascoltare non solo con gli orecchi ma con il corpo, con gli occhi e con
la mimica del viso. Sicuramente la comunicazione ne trarrà giovamento.
Questo articolo è liberamente ispirato al testo: “lo stress dell’insegnante” di Di Pietro e Rampazzo.