Capita molto di frequente con le patologie croniche, senza una cura risolutiva, che si inneschi un processo di turismo medico e shopping terapeutico.
Per turismo medico si intende l’andare alla ricerca di medici, possibilmente sempre più esperti in materia, che possano dare una diagnosi più precisa e corretta delle precedenti, nella speranza che una cura ci sia e sia anche facile da fare. In questo caso ci si scontra con la negazione della diagnosi e della patologia e con la speranza che qualcuno ci dica che ci siamo sbagliat* e la malattia non c’è o c’è qualcosa di diverso e curabile.
Lo shopping terapeutico invece consiste nel provare tutto, ma proprio tutto ciò che è dichiarato essere utile ( in modo non sempre scientifico) per la nostra patologia, e provare o tutto insieme facendo un grande e pericolosimmo calderone o togliendo e mettendo farmaci e trattamenti alla velocità della luce senza tener conto dell’effetto rebound e senza dare al nostro corpo il tempo necessario per rispondere.
In questo secondo caso purtroppo siamo animat* dall’illusione della “raccolta punti” dove alla fine il premio potrebbe essere molto caro.
In entrambi i casi il problema cruciale non è solo a che punto siamo rispetto all’accettazione della diagnosi; non ci si trova solo di fronte ad un persona che tratta la patologia come un fastidioso intoppo nella propria vita da eliminare quanto prima. Entra in gioco anche il concetto di fiducia. Non ci si fida più di un corpo che ci ha tradit* , non ci si fida più delle proprie sensazioni, ma non ci si fida più nemmeno dei professionisti sanitari pensando che i risultati debbano essere rapidi come l’acquisto di un oggetto al supermercato e se così non è si cambia.
Ecco allora che diventa fondamentale fermarsi, rieducarsi all’ascolto di sé, del proprio corpo e di quel professionista che ci ha accolto con il nostro bagaglio, per capire in che direzione stiamo andando.
Va da sé che si tratta di manifestazioni di fasi che si attraversano nel processo di elaborazione ed accettazione di diagnosi ed ancor prima della malattia. In particolare queste condotte si incontrano nella fase di negazione e shock iniziale e nella fase della contrattazione in cui si cerca di scendere a patti con la propria patologia. In generale non c’è un modo giusto o sbagliato di reagire alla patologia, ma talvolta si rende utile o addirittura necessario il supporto di un professionista della salute mentale, per aiutarci a prendere consapevolezza dei nostri vissuti, e a prevenire, alcune scelte inutili se non addirittura dannose.